Come nasce?
La Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale (PCC) è attualmente considerata a livello internazionale uno dei più affidabili ed efficaci modelli per la comprensione ed il trattamento dei disturbi psicopatologici.
La storia della Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale storicamente può essere suddivisa in tre fasi.
La prima fase si caratterizza come reazione alla progressiva evidenza della mancanza di efficacia delle terapie psicodinamiche che avevano dominato la prima metà del XX secolo, ma che faticavano a rispondere ai nuovi bisogni psicologici e psicoterapeutici del secondo dopoguerra. I primi terapeuti del comportamento si sono focalizzati sulla riduzione dei comportamenti problematici manifesti utilizzando tecniche e procedure terapeutiche rigorosamente validate e fondate sui principi dell’apprendimento. Questi principi necessitavano di espandersi oltre i principi del condizionamento classico e operante per includere quelli focalizzati sui processi cognitivi umani (Bandura, 1968).
Negli anni ‘60, inizia la seconda fase, con l’avvento del cognitivismo, ad opera di A.T. Beck negli USA. La terapia di Beck è definita terapia cognitiva standard. Le cognizioni non solo diventano d’importanza centrale all’interno dell’indagine psicologica, ma anche accessibili dal punto di vista empirico. Il termine “cognitivo” fa riferimento al rilievo dato alle modalità di pensiero, di conoscenza di sé e di sé con gli altri. Successivamente agli studi di Beck (anni ’80 e ’90 del secolo scorso) sono nati altri tipi di terapia cognitiva: la terapia razionale-emotiva di Albert Ellis, il costruttivismo di George Kelly, la terapia multimodale di Arnold Lazarus, il modello teorico di Michael Mahoney, il cognitivismo post-razionalista di Vittorio Guidano. La seconda fase ha significato l’ampliamento dell’attenzione ai fattori e ai processi cognitivi e linguistici implicati nella genesi e nel trattamento dei disturbi psicologici. È proprio dall’integrazione tra le prime due generazioni che nasce il concetto di Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale.
Per ragioni filosofiche tale approccio (dominato da modelli meccanicistici dell’information processing o organicistici di sviluppo cognitivo) più centrato sulla natura e sull’evoluzione degli atti cognitivi e sul loro impatto su ogni altra forma di azione che sugli specifici eventi contestuali che regolano questi eventi psicologici e li collegano gli uni agli altri.
La terza fase, denominata “terza onda” di terapia comportamentale e cognitiva è particolarmente sensibile al contesto e alle funzioni dei fenomeni psicologici e non solo alla loro forma. Tende, perciò, ad enfatizzare strategie di cambiamento contestuali ed esperienziali in aggiunta a quelle più dirette o didattiche.
Quali trattamenti?
Attualmente la Psicoterapia Cognitiva – Comportamentale copre il campo del trattamento di tutti i disturbi mentali: disturbi dell’umore, disturbi d’ansia – fobie, ossessioni, compulsioni, disturbi del comportamento alimentare, disturbi di personalità o d’abuso di sostanze, schizofrenia, come pure quelli nell’età evolutiva o nell’anziano. Utilizza molti strumenti di derivazione comportamentale, cognitiva e relazionale, e si struttura in incontri individuali, di famiglia o gruppo, nonché in situazioni d’intervento istituzionale.
- Terapie del comportamento: si basa sull’assunto che la psicologia in quanto scienza empirica, obiettiva e sperimentale, ha come oggetto di studio il comportamento degli individui (quello che le persone fanno e dicono), aspetto osservabile e misurabile in modo obiettivo. Attraverso l’utilizzo di diversi strumenti, la terapia comportamentale, aiuta a modificare la relazione fra le situazioni che creano difficoltà e le abituali reazioni emotive e comportamentali che la persona mette in atto in tali circostanze. Mediante l’apprendimento di nuove modalità di risposta, l’esposizione graduale alle situazioni temute e il fronteggiamento attivo degli stati di disagio, si vuole ridurre o eliminare comportamenti disadattavi (es. una fobia) oppure ampliare un ventaglio di comportamenti adattivi che favoriscono una migliore qualità di vita (es. le abilità sociali).
- Terapie cognitive: l’essenza del pensiero cognitivista può essere riassunto da questa frase di Epiteto: le persone sono disturbate non dalle cose, ma dall’interpretazione che essi ne danno. L’approccio cognitivo propone un modello di uomo come elaboratore di dati, generatore di significati e conoscenze personali. Al pari di uno scienziato, l’uomo costruisce modelli di sé e del mondo che determinano ciò che percepisce e che gli permettono di formulare ipotesi e aspettative che possono essere messe alla prova, validate o invalidate, tramite esperimenti (i propri comportamenti). Secondo i cognitivisti, le emozioni insorgono a seguito della valutazione cognitiva che un individuo fa di un evento (es. “se vedo un orso percepisco tale situazione come minacciosa e quindi ho paura”).
La Terapia Cognitiva (TC) implica una relazione complessa tra emozioni, pensieri e azioni (o comportamenti). Si basa sull’assunto che i pensieri causano le reazioni emotive e i comportamenti. Non è la situazione in sé a determinare direttamente ciò che le persone provano o come si comportano, ma è piuttosto l’attribuzione di significato che le persone danno all’evento sulla base delle convinzioni di base su di sé, sugli altri e sul mondo. Il modo in cui il soggetto pensa, determina le sue emozioni sia normali che patologiche, quindi se pensa in un modo disfunzionale questo suo modo di pensare causerà un disturbo psicologico. La TC si rifà al modello A-B-C, dove A sta per “antecedente”, B per “pensiero” e C per “emozione e conseguenza”.
I processi di pensiero disfunzionali sono all’origine dei disturbi emotivi e comportamentali e ne favoriscono il mantenimento nel tempo. Tali processi comprendono:
- I pensieri automatici: il livello cognitivo più superficiale ovvero i pensieri e le immagini distorte che attraversano in modo rapido e incontrollato la mente di una persona di fronte a determinate situazioni specifiche e ne condizionano negativamente l’umore, ad es. “è troppo difficile”, “non sarò in grado” ecc.
- Gli schemi o assunzioni di base: idee su sé, sugli altri e sul mondo che organizzando ad un livello più profondo l’esperienza di un individuo, sono globali, rigide e ipergeneralizzate ad es. “sono inadeguato”, “sono un inetto”, “sono solo”, “sono incompetente” ecc.
La conseguenza clinica è che, per intervenire sulle emozioni disturbanti (paura, tristezza, rabbia, vergogna senso di colpa ecc.) al fine di estinguere o modificare reazioni inappropriate ed eccessive, il terapeuta, adoperando una serie di strumenti, deve aiutare la persona ad individuare quei processi di pensiero disfunzionali, con l’obiettivo di sostituirli, correggerli e/o integrarli con pensieri e convinzioni più funzionali.
Quello che viene mostrato dalle ricerche cliniche sulla terapia cognitiva è che la modificazione cognitiva dei “pensieri automatici disfunzionali” produce un miglioramento dei sintomi, la modificazione degli “schemi o assunzioni di base” disfunzionali su di sé sugli altri e sul mondo, porta a miglioramenti più duraturi nel tempo.
Attualmente esiste un approccio generale cognitivo-comportamentale (PCC) che combina la terapia cognitiva (cambiamento del modo di pensare) con la terapia comportamentale (cambiamento del comportamento). La PCC si fonda sui risultati della ricerca di base, e valuta la sua efficacia mediante ricerche sperimentali.
Anche nell’ambito della psicoterapia cognitivo-comportamentale esistono molti approcci diversi accomunati, tuttavia, dalla condivisione di tre concetti teorici fondamentali:
- l’attività cognitiva influenza il comportamento; cioè i nostri pensieri, le nostre valutazioni su un evento determinano il nostro modo di adattarci o meno all’ambiente;
- l’attività cognitiva può essere monitorata e modificata; noi possiamo accedere all’attività cognitiva e siamo anche in grado di valutarla;
- il cambiamento del comportamento può essere ottenuto anche attraverso la modificazione cognitiva, e non solo attraverso l’erogazione di rinforzi e punizioni come invece viene sostenuto dalla terapia comportamentale.
Quali sono le sue peculiarità?
La PCC, nelle diverse forme, si caratterizza per alcune peculiarità:
- È Scientificamente Fondata: è’ stato dimostrato attraverso studi controllati che i metodi cognitivo – comportamentali costituiscono una terapia efficace nel trattamento della maggior parte dei disturbi psicologici. Altre ricerche condotte sia a livello nazionale (es. Istituto Superiore della Sanità) che internazionale (es. Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno dimostrato che la psicoterapia cognitiva ha un’efficacia maggiore o pari agli psicofarmaci nella cura di molte patologie psichiatriche. Se paragonata agli psicofarmaci, inoltre, la terapia cognitiva risulta essere più utile nella prevenzione delle ricadute.
- È Orientata allo Scopo: il terapeuta cognitivo-comportamentale lavora insieme al paziente per stabilire gli obiettivi della terapia, formulando una diagnosi e concordando con il paziente stesso un piano di trattamento che si adatti alle sue esigenze, durante i primissimi incontri. Si preoccupa poi di verificare periodicamente i progressi in modo da controllare se gli scopi sono stati raggiunti.
- È Pratica e Concreta: lo scopo della terapia si basa sulla risoluzione dei problemi psicologici concreti e l’attenzione del terapeuta è rivolta soprattutto al qui ed ora. Alcune tipiche finalità includono la riduzione dei sintomi depressivi, l’eliminazione degli attacchi di panico e dell’eventuale concomitante agorafobia, la riduzione o l’eliminazione dei rituali compulsivi o dei comportamenti alimentari patologici, la promozione delle relazioni con gli altri, la diminuzione dell’isolamento sociale, e cosi via.
- È Collaborativa: paziente e terapeuta lavorano insieme per capire e sviluppare strategie che possano indirizzare il soggetto alla risoluzione dei propri problemi. La PCC è, infatti, una psicoterapia sostanzialmente basata sulla collaborazione tra paziente e terapeuta. Entrambi sono attivamente coinvolti nell’identificazione e nella messa in discussione delle specifiche modalità di pensiero che possono essere causa dei problemi emotivi e comportamentali che attanagliano il paziente.
- È a Breve Termine: la PPC è a breve termine, ogniqualvolta sia possibile. La durata della terapia varia di solito dai quattro ai dodici mesi, a seconda del caso, con cadenza il più delle volte settimanale. Problemi psicologici più gravi, che richiedano un periodo di cura più prolungato, traggono comunque vantaggio dall’uso integrato della terapia cognitiva, degli psicofarmaci e di altre forme di trattamento.
- Mira a far diventare il paziente terapeuta di se stesso: attraverso interventi di psico-educazione il paziente viene istruito sulla natura del suo disturbo, sul processo, sulla terapia e sulle tecniche utilizzate al fine di prender via via consapevolezza delle sue modalità di funzionamento e utilizzare tali tecniche per gestire le emozioni dolorose.
- Si presta a sinergie con il trattamento farmacologico: proprio perché scientificamente fondata si presta a sinergie con il trattamento psicofarmacologico e a rappresentare un aspetto strategico insostituibile come avviene nei programmi complessi di riabilitazione psicosociale.
Quali sono gli strumenti utilizzati?
La PCC fa uso di una serie di tecniche che servono a gestire gli stati emotivi dolorosi del paziente. Le tecniche utilizzate variano in base al tipo di problema presentato e alla fase della terapia, e sono sia di derivazione cognitivista che comportamentista e relazionale:
- Dialogo Socratico,
- Ristrutturazione Cognitiva,
- Tecnica dell’ABC,
- Scoperta Guidata o Tecnica della Freccia Discendente,
- Problem-Solving, Promemoria
- Compiti a Casa o Homework
- Esperimenti Comportamentali,
- Esposizioni,
- Prevenzione o Dilazione della Risposta,
- Stress Inoculation Training,
- Pratica Negativa,
- Tecniche Implosive
- Tecniche di Rilassamento Progressivo (o Training Autogeno)
- Training sulle Abilità Sociali (Social Skills Training)
- Accettazione
- Mindfulness
- Defusione Cognitiva
Come si sviluppa la PCC, manuale per l’uso
- Ricostruzione della storia di vita e della storia del disturbo (scompenso) (quando, come, perché?)
- Formulazione e condivisione del modello di funzionamento del disturbo
- Contratto terapeutico (Cosa fare e in quanto tempo?)
- Intervento di psico-educazione sul disturbo (Cos’è?)
- Interventi cognitivi e/o comportamentali (In che modo ridurre? potenziare? modificare?)
- Prevenzione delle ricadute (Accadrà di nuovo? Come l’affronterò?)
- Fasi di follow-up: Controlli periodici a cadenza mensile per verificare la stabilità degli esiti raggiunti con la terapia.